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Sucker Punch: Il team è volato in Giappone per lo sviluppo di Ghost of Yotei

Quando un team occidentale decide di ambientare un videogioco nel Giappone del XVII secolo, la sfida più grande non è solo storica o artistica, ma profondamente culturale. Con Ghost of Yōtei, i creatori americani di Sucker Punch Productions hanno affrontato questa sfida con consapevolezza e umiltà, scegliendo di affidarsi a un lavoro di ricerca sul campo e a un costante dialogo con esperti locali, per rappresentare la cultura Ainu in modo rispettoso e veritiero.

Un team consapevole dei propri limiti culturali

Come raccontato dal direttore creativo Nate Fox, il team di Sucker Punch ha ben chiaro che, essendo una software house americana, non possiede in modo naturale il patrimonio culturale necessario per ricreare il Giappone feudale con accuratezza. Per questo, sin dai tempi di Ghost of Tsushima, ha collaborato con consulenti giapponesi di Sony e PlayStation Tokyo. Con Ghost of Yōtei, l’ambizione si è estesa: ambientando il nuovo gioco sull’isola settentrionale di Hokkaido, si è reso necessario rappresentare anche la minoranza Ainu, popolo indigeno dalla cultura millenaria.

L’incontro con la cultura Ainu: oltre la ricerca accademica

Prima ancora di iniziare a raccogliere materiali visivi o storici, il team si è messo in contatto con una consulente della cultura Ainu, che ha generosamente aperto le porte della sua vita personale. Il gruppo di sviluppatori ha così partecipato a un’escursione in montagna, dove ha raccolto erbe selvatiche e frutti della natura insieme alla famiglia della consulente. Questa esperienza immersiva ha segnato profondamente il gruppo, al punto da decidere di introdurre la raccolta di piante e frutti selvatici come meccanica di gioco, così da permettere ai giocatori di vivere simbolicamente quella stessa esperienza.

La visita al Museo Ainu di Nibutani e la progettazione degli oggetti di gioco

Per approfondire la conoscenza materiale della cultura Ainu, il team ha visitato il Museo Ainu di Nibutani, confrontandosi direttamente con la consulente sulle funzioni e il significato degli oggetti esposti. Questo dialogo ha ispirato la realizzazione di strumenti, arredi e abiti coerenti con le pratiche della popolazione locale, evitando qualsiasi forma di stereotipo o approssimazione.

Hokkaido tra isolamento e contaminazione: la lezione del clan Matsumae

Esplorando la penisola di Oshima, gli sviluppatori hanno scoperto come nel 1603 l’Hokkaido fosse ancora in gran parte dominato dalla natura selvaggia e scarsamente popolato dai Wajin (giapponesi dell’Honshu). La presenza del clan Matsumae, l’unico autorizzato a commerciare con gli Ainu, era percepibile solo in aree circoscritte come il castello e alcune piantagioni di ciliegi. Questa alternanza tra zone civilizzate e aree selvagge è diventata una caratteristica importante dell’open world di Ghost of Yōtei, riflettendo fedelmente la geografia e la storia del tempo.

Un viaggio spirituale tra ricerca storica e rispetto culturale

La fase di ricerca ha incluso anche la cultura Edo, con tappe significative nell’Honshu. Una delle più suggestive è stata la visita al Santuario di Nikko Toshogu, dedicato a Tokugawa Ieyasu. Qui, il team ha ricevuto la benedizione per il progetto, ottenendo Omamori (talismani) ed Ema (tavolette votive) che oggi sono custoditi negli studi di Sucker Punch, come ricordo tangibile dell’impegno spirituale e simbolico investito nel gioco.

Un Hokkaido immaginario, ma autentico nello spirito

L’Hokkaido che i giocatori esploreranno in Ghost of Yōtei non è una ricostruzione fotografica della realtà, ma un’interpretazione artistica fondata su esperienze autentiche, confronti diretti e un grande rispetto per le persone che quella terra la abitano. Nate Fox lo ribadisce con semplicità: non volevano solo rappresentare un luogo, ma sentirlo davvero.

Concludendo il loro diario di sviluppo, Sucker Punch lancia un invito accorato: “Se state pensando di visitare l’Hokkaido, fatelo. È un sogno che diventa realtà”. Per loro è stato molto più che un viaggio di lavoro: è stato un incontro profondo con una cultura viva, ancora troppo poco conosciuta, ma che ora potrà raggiungere milioni di giocatori in tutto il mondo.

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