Alla fine di marzo 2025, l’esercito cinese ha condotto ampie esercitazioni militari nei pressi di Taiwan, suscitando allarme a livello internazionale. Oltre all’aspetto militare, l’evento ha incluso una componente fortemente propagandistica, con la diffusione di video e post ostili rivolti alle istituzioni taiwanesi. Ma a colpire l’attenzione è stata soprattutto la presenza, in uno di questi video, di sequenze tratte da Black Myth: Wukong, uno dei titoli videoludici più attesi e celebrati del 2024.
Black Myth: Wukong, sviluppato da Game Science, è stato a lungo percepito dal pubblico come un prodotto apolitico, ispirato esclusivamente alla mitologia cinese. Tuttavia, il governo cinese sembra pensarla diversamente. Nel video propagandistico, infatti, vengono alternate scene delle esercitazioni dell’Esercito Popolare di Liberazione con spezzoni del gioco. In particolare, viene mostrato Sun Wukong mentre combatte e sconfigge una rana gigante, una scelta tutt’altro che casuale.
Nel linguaggio propagandistico cinese, le rane sono spesso usate per rappresentare in maniera dispregiativa i cittadini e i politici taiwanesi, collegandosi al proverbio “vedere come una rana in un pozzo”, usato per indicare chi ha una visione ristretta del mondo. In questo contesto, far vedere Sun Wukong che annienta una rana assume un chiaro significato allegorico: l’eroe cinese abbatte l’ignoranza e la debolezza di Taiwan, celebrando la supremazia della Cina continentale.
Black Myth: Wukong è stato presentato dalle autorità cinesi come una manifestazione del potere culturale della Cina, un videogioco capace di dimostrare al mondo la forza creativa e la profondità mitologica del paese. In questo senso, non sorprende che venga utilizzato in una narrazione politica che mira a rafforzare il nazionalismo e a legittimare aspirazioni egemoniche, soprattutto nei confronti di Taiwan, che la Cina considera una provincia ribelle.
Il caso solleva una questione importante: la politicizzazione dei videogiochi non è nuova, ma spesso viene rifiutata o criticata, specialmente in Occidente, quando veicola messaggi sociali o inclusivi. Al contrario, quando a farlo è un regime autoritario, con messaggi che esaltano il potere dello Stato e delegittimano voci dissidenti, la critica fatica a emergere. Black Myth: Wukong viene quindi strumentalizzato come simbolo dell’autoritarismo travestito da orgoglio nazionale, dimostrando che la politica nei videogiochi “va bene”, ma solo quando serve al potere.
Un dettaglio fondamentale del video è che i testi sono scritti in cinese tradizionale, lo standard utilizzato a Taiwan, e non in cinese semplificato, che si usa nella Cina continentale. Questo indica in modo inequivocabile che il pubblico di riferimento erano proprio i taiwanesi, bersaglio diretto della propaganda. La combinazione di minaccia militare e offensiva comunicativa mostra una strategia complessa, in cui persino un videogioco può diventare strumento di pressione psicologica e messaggio politico.

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